Endless Pain, a Chibi_Saru Manga Project

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Eliza Faust
view post Posted on 3/6/2006, 14:43




Chibi Saru mi ha chiesto gentilmente di postare i primi capitoli della sua Fan Fiction!perciò tenetevi forte XD perchè sarà un "manga"(lo kiamo così perchè dire fumetto o fan fic nn mi piace) moooltooo dark e sadico...

AVVERTENZE:i malati di schizzofrenia o personalità multipla potrebbero risentire in negativo nella lettura di questo manga,per tutti gl'altri ^____^ leggetelo che un pò di pazzia ci vuole! XDDDD

...detto questo...Buona Lettura!

ENDLESS PAIN


Capitolo 1°: I’m Their

- Tu.. tu sei il demonio…-
Forse lo era…
- Sei pazzo, totalmente pazzo, la rovina di questa famiglia…-
Ormai se ne era convinto…
- Meriti solo di morire.. MUORI!!-
Perché… non lo era già?
Come poteva un bambino vivere portandosi dietro quelle parole, quelle parole così pesanti pronunciate da coloro che più degli altri dovrebbero esserti vicini… la sua famiglia, suo padre, sua madre ed infine anche quel disgraziato di suo fratello.
Il suo povero fratello, già così diceva sua madre… povero perché doveva potare sopra di se il peso di quel pazzo… di quel ragazzo tanto malandato… di colui che non sarebbe mai dovuto nascere… già… quante volte lo aveva sentito, e non aveva mai capito perché, perché lui non potesse essere come gli altri… cosa, cosa aveva di anormale, era un demone… lo era anche suo fratello… aveva gli occhi blu come il mare… ma poteva mai essere per questo?… ed i suoi capelli, normali, neri come la notte… come quella notte che scende inesorabile e che era scesa anche sulla sua vita, veloce e mortalmente dolorosa.
E li guardava allontanarsi mentre dietro di lui c’era il manicomio, il manicomio giovanile St. Louis… quel portone così… brutto marcio e tetro e quel suo animo così inquieto… ora doveva diventare quello che tutti credevano che fosse… perché se no… non sarebbe sopravvissuto, l’avrebbero tenuto lì per sempre e lui, nonostante tutto lui non voleva… rivoleva la sua famiglia, anche con tutte le frustate,… anche con tutti i rimproveri, nonostante tutto gli voleva bene, erano la sua famiglia, quella stessa famiglia che lo aveva ucciso ma… come si fa a non amare coloro che hai visto er la prima volta.
- Colt Flaugh… uhm… si ho capito la situazione… tranquillo piccolo, qui puoi sentirti a casa… noi d’ora in poi siamo la tua famiglia…-
Ci glielo aveva chiesto, lui non li voleva… rivoleva solo casa sua… la sua camera.. buia… puzzolente ma sua.
- Non ho bisogno di un’altra famiglia…-
Il rettore dell’istituto spalancò gli occhi a quella risposta e guardò in quelli del ragazzo… odio, disprezzo e tristezza, mescolati tra loro, in un gioco di luci che ricreavano la pazzia, quella pazzia che ormai si era instillata nel suo essere, in quel suo piccolo essere, in quella sua piccola natura…
- Ehm.. be ecco… tu…tutti vogliono una famiglia…-
E quegli occhi ancora gli si paravano davanti… freddi, decisi e assolutamente irremovibili…
- Si.. ma la propria, non una famiglia fittizia in cui si prendono cura di te semplicemente per denaro… questa non è una famiglia, si chiama baby sitteraggio… e grazie, io non voglio baby sitter, posso andare ora? –
Non vi era stato il minimo cambiamento nella sua voce, come se tutto quello non lo toccasse ed in effetti… che gliene importava… presto sarebbe uscito, per forza, sarebbe uscito si; avrebbe rivisto sua madre, chissa come stava la sua mamma… la sua cara mamma…mamma…mamma… mamma.
Venne condotto nella sua camera… una camera strana, dall’aria strana, malata… tre letti, tre piccoli letti… due occupati, uno no, il suo… vi ci si sedette, stanco… non riusciva a pensare ad altro che a casa sua e sapeva, sapeva che non doveva farlo, in quel luogo niente era più come prima, niente.
E alzò lo sguardo trovandosi un ragazzo a tre centimetri dal viso… un bel ragazzo non c’era che dire, capelli marroni che scendevano sbarazzini sugli occhi e sulle spalle, lunghi… eppure così belli, due occhi, verdi come il prato al mattino, quando è ancora pieno di rugiada.
- Ehi, tu devi essere quello nuovo… piacere io sono Iiro, un nome orrendo lo so, colpa dei miei…-
E sorrise, un sorrise strano… lo capì subito… così… strano…
- Ehi Iiro…Iiro…-
Una ragazzina, carina, mingherlina… dai capelli gialli come l’oro e dagli occhi neri come la pece più nera, strana, strana anche lei… ma il suo sorriso era forse peggio… forse.
- OH… Iiro chi è questo?…-
Non riuscì a dire niente il bambino, l’altro ripose per lui… ma… perché?…
- E’ il nuovo arrivato, è in camera con noi…il suo nome è…-
Stava per dirlo… Colt, un nome che odiava, che schifo di nome era… sembrava una marca di detersivi… ma prima che aprisse bocca ancora Iiro rispose per lui.. voleva lamentarsi che l’uso della parola l’aveva ma preferì stare zitto…
- Reje… Reje… si Reje…-
Reje… Reje… gli piaceva, altro che un detersivo, Reje… lui era Reje.
La ragazza sorrise e lo abbracciò… forse si era sbagliato… forse.
- Ah benvenuto Reje, ti troverai benissimo vedrai… siamo tutti molto felici qui…-
E il suo tono di voce cambiò… e allora si rese conto della differenza d’età… lui 8 e loro 14… troppa, quasi il doppio… ma… come mai gli era appena venuto agli occhi questo particolare? Perché ora lei gli sembrava così alta?
- Tu… sei felice?-
Doveva mentire, lo sapeva, dire una semplice bugia, piccola piccola… ma niente. Disse la verità, ancora così ingenuo…
- No…non… non ho niente per cui essere felice.-
E lei sorrise, come lui, ancora, quel sorriso… lui si mosse, lo guardò, cos’era quel brutto presentimento… la porta, si stava avvicinando alla porta… no, allontanati dalla porta, questo avrebbe voluto urlare, avere spiegazioni, ma qualcosa gli prese la faccia, stretto, violento, due mani, mani femminili.
E qualcosa tentava di arrivare dentro la sua bocca, con forza, sena timore di niente, decisa… sicura.
La lingua di lei gli inumidì le labbra per poi penetrarle, sfondarle come si fa con un grande muro troppo fragile per essere di pietra.
E le mani di lei bloccarono quelle del bambino mentre continuava ad assaporare quella bocca, vogliosa e lussuriosa, come un cane che delimita il territorio; quel ragazzino era LORO territorio.
E quel loro avrebbe dovuto sempre ricordarlo… e come a suggellare ciò l’altro gli prese i polsi e, staccatolo dalle labbra dell’altra li legò al letto in modo tale che il ragazzino gli desse le spalle…
Si abbassò in ginocchio per arrivare al suo livello e lo leccò, famelico… tutta la guancia… mentre i suoi occhi brillavano di pazzia… quella pazzia che inizialmente era solo accennata.
E poi terrorizzato si girò ancora… lei aveva qualcosa in mano… aveva paura… cosa volevano da lui?
E poi delle mani sulla sua schiena, tutto troppo in fretta… troppo, troppo… e prima che potesse accorgersene la maglietta era volata via… veloce, lontana.
E lui era lì davanti a loro, a torso nudo… mentre il ragazzo lo prendeva per i capelli e gli mandava la testa all’indietro, leccandogli tutta la faccia per poi soffermassi sulle labbra… immacolate… ancora per poco.
Le morse con foga, con così tanta foga da fargli uscire sangue, da spaccarle… lentamente e leccando ogni minima goccia come nettare… e gli si mise davanti (le manette erano abbastanza lunghe da permetterlo…) con quello sguardo strano… ancora… mentre sapeva che doveva stare attento anche a lei… non doveva dimenticarla… e presto se ne ricordò, se ne ricordò quando una frustata arrivò alla sua schiena nuda… e lui urlò, urlò per quel dolore incessante, per quel dolore che ad ogni frustata continuava… e che sembrava sempre più forte… dolore, dolore, dolore.
Eppure… già in lui si sentiva quel piacere derivato dal dolore fisico, già in lui si scorgeva un minimo di eccitazione, ma così accennata che non se ne sarebbe potuto accorgersene… e spalancò la bocca mentre un rivolo di saliva scendeva da un lato … e risentì una lingua in quell’angolo, quella del ragazzo che davanti a lui stava lavorando con i suoi pantaloni… piccoli , pantaloni di un bambino di 8 anni…come lo era il corpo nudo davanti a loro, quel corpo già stremato ma che per loro non aveva dato abbastanza.
E lei continuava con la sua frusta, veloce, veloce, sempre più forte… ferendolo, nel fisico e nell’anima mentre lui, lui gli apriva le gambe, molto, troppo… e lo penetrava con il suo pene eccitato dai gemiti di dolore, da quegli urli… un pene violento, che non teme barriere e che non si ferma elle preghiere dell’altro, come quella frusta, due armi per ferire qualcuno in egual modo.
E Iiro i muoveva dentro di lui veloce gemendo ed ansimando eccitato… mordendogli il collo mentre il suo corpo seguiva il suo ritmo spontaneamente e, quando arrivavano le frustate, si aggrappavano al corpo dell’altro, digrignando i denti… ma comunque urlando.
E ormai era loro, in quel minuto avevano fatto di lui quello che volevano… lui era Reje… lo capiva mentre Iiro lo possedeva, con forza, violenza, senza la minima esitazione e mentre Eine lo marchiava con quelle fruste, marchiava la sua schiena ed il suo animo a vita.
E poi tutto finì veloce quando lui venne, in un gemito forte… che spinse il ragazzino a seguirlo e quando lei, visto il seme si concentrò su quello, leccandolo avidamente come un gatto dalla ciotola…
Le sue urla erano state forti, ora era a terra, le mani in alto sorrette dalle catene, tutti avevano sentito, ma nessuno lo avrebbe mai ammesso, quello era il St. Louis…
- Piaciuto marmocchio?..- Eine rideva davanti a lui mentre assaggiava dalle di lei dita il suo piacere, come d’altronde faceva lui… - D’ora in poi sarai nostro… avremo voglia di scopare?… be tu dovrai scattare e farci godere come matti, avremo voglia di farti soffrire come ora… bene soffri come un cane ed urla… ti è entrato bene in testa Reje?…tu sei nostro.-
E lo sapeva… era la pura verità… ma non lo sarebbe stata per sempre…

Capitolo 2: Fire…fire…a lot of fire

Il manicomio St. Louis… lì passò la maggior parte della sua infanzia… la parte più brutta, quella che tutt’ora ricorda con un moto di rabbia… Iiro e Eine, non li chiamava mai per nome… non li chiamava, erano loro che chiamavano lui, sempre, sempre più spesso… con sempre più rabbia… e lo torturavano, lo prendevano con sempre più forza e violenza… e lui obbediva, come un cane, non sapeva nemmeno perchè… non era più per timore della forza fisica, era qualcos’altro, qualcos’altro che l’aveva accompagnato fin dall’infanzia… la paura di essere abbandonato, la paura di perdere chi in un modo o nell’altro fa parte della tua vita; Aveva capito ormai che amava aver fatto del male, che in un certo senso si affezionava a chi gli faceva del male… lui era nato masochista, quell’amore per la madre lo dimostrava… amava il dolore, il dolore fisico ma anche quello psicologico, quel dolore che ti porta all’abisso, alla morte interiore… all’oblio.
E le sue giornate passate chiuso in quella stanza, sanguinante sia dall’apertura sia dalla schiena non importavano, l’isolamento che comportava quel modo di vita nemmeno, a modo suo li amava… li amava come un drogato ama la sua droga, provava dipendenza per quel dolore, dipendenza per quel piacere… ma forse fu proprio questo strano tipo d’amore a portare l’epilogo del Reje di 8 anni… ora ne aveva 12…loro 18… lui poteva rimanere… loro no.
Loro erano maggiorenni ormai, quello era un manicomio minorile, loro stavano preparando le valige e lui no… lo stavano abbandonando… senza nemmeno guardarlo… già… era il LORO giocattolo… lui era LORO, ma per loro non era abbastanza importante da essere portato in giro… non lo volevano con loro, avrebbero trovato un altro giocattolo… e si sentì morire… abbandonato, un’altra volta ancora… prima sua madre, ora loro… cosa… cosa aveva che non andava?…
Eine si voltò verso Reje, lui aveva la testa abbassata, sembrava quasi non respirasse… sembrava… morto…o lo era…no, sembrava solamente… forse.
- Reje che hai?…-
Non rispose, il ragazzino prese tra le mani un accendino… il fuoco, bellissimo il fuoco, il fuoco che purifica tutto, il fuoco che libera da tutto… quel fuoco che già una volta l’aveva aiutato… già quando aveva nove anni… quel nuovo arrivato… si era avvicinato a Eine… voleva rubargli Eine, colei che per prima aveva profanato le sue labbra, colei con la quale più di una volta aveva scopato anche ad insaputa di Iiro, loro due soli, nell’intimità di una madre con il proprio figlio… mamma… mamma… mamma…l’aveva ucciso… bruciato nella caldaia, non si era più ritrovato il corpo… il St. Louis era così.
- Re..Reje insomma!…-
Anche Iiro si girò a quel punto… si avvicinò piano… era strano… stava male?… non sembrava… così si avvicinò ancora… che stupido, che stupido quel ragazzo… Reje lo guardò, gli occhi spenti, morti… di qualcuno che non vuole più vivere…lui era Reje, Colt non ne avrebbe avuto il coraggio, ma lui era Reje…e Reje poteva farlo.
Poco dopo vide solo fuoco, fuoco sui vestiti di Iiro, fuoco che si spargeva velocemente su tutto il corpo del ragazzo… solo e solamente fuoco… Iiro non c’era più, il suo… papà…, forse… se Eine era la mamma… ah già Eine… la guardò con quegli occhi strani mentre accanto a loro Iiro urlava ancora… il fuoco si rispecchiava nei suoi occhi blu… mare e fuoco, pazzia, solo pazzia.
Se ne voleva andare la ragazza… la sua mamma perché? Perché non voleva stare con lui? E l’accendino ricominciò a vibrare di quel fuoco, mentre si avvicinava a lei che lentamente indietreggiava, no… non avere paura mamma.. non averne… la raggiunse e la strinse tra le braccia, così strano… un dodicenne che abbraccia una diciottenne, ma era la sua mamma.
- Perché te ne vuoi andare?…-
Lei lo guardò, terrorizzata ecco cos’era, terrorizzata da quel bambino…
- A…allontanati da me … ALLONTANATI…-
Tentava di respingerlo e Reje si sentiva tradito… mentre l’accendino vibrava ancora dietro di lei… no, non doveva scacciarlo no!
- ma… perché… so…sono Reje…-
- TU SEI PAZZO, TU SEI PAZZOOOO ….-
E si mosse troppo avventata, andando a urtare la sua mano con l’accendino, anche lei prese fuoco, cominciò a bruciare, troppo lenta a togliersi i vestiti… e ora bruciavano tutti e due accanto a lui.. bruciavano mentre anche la stanza prendeva fuoco… fuoco, fuoco… tanto fuoco… e loro non c’erano più… lui a cosa serviva… fuoco…fuoco…tanto fuoco… e lui vedeva solo rosso, quel rosso così bello mentre cadeva in ginocchio, mentre le fiamme lo ricoprivano… lo divoravano e lo trascinavano con loro, con coloro di cui ancora aveva bisogno… e nel suo ricordo in quel momento c’era solo il fuoco… fuoco… tanto fuoco.
 
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