Leggenda di Mood, A Zhulldzin's tale

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Zhulldzin
view post Posted on 31/1/2004, 20:39




Era un giorno come tanti a Dust’hol, il solito vento soffiava forte dal deserto trasportando sul nostro villaggio sabbia e calore. Al centro del villaggio stava immobile Kill’rog, il capo del nostro clan, che sembrava non soffrire minimamente ne i granelli di sabbia che gli si infilavano ne tanto meno la calura. Aveva convocato tutti i giovani del villaggio. per giovani, in un villaggio di orchi, si intende coloro che hanno al massimo una decina di anni, dopo di che si è già adulti, ossia, guerrieri. Quando li vide tutti radunati davanti a lui non disse altra parola se non “seguitemi” e quindi si diresse con passo deciso verso il deserto che si estendeva immenso a Sud del nostro villaggio. Kill’rog era un grosso orco nel pieno delle sue forze e tenere il suo passo non era facile nemmeno per i più allenati di noi, Quanto avrei desiderato avere un Jatzkur in quel momento! Di colpo dal monotono paesaggio di dune e sabbia comparve una costruzione di pietre nere, avvicinandomi potei notare che pareva essere un rudere di una torre, neanche troppo antica a giudicare dal suo stato. Kill’rog si sedette al riparo di questa costruzione e attese che anche noi facessimo altrettanto. “Bene” attaccò il capo clan “è giunto il momento che voi conosciate una storia, o meglio, LA Storia che ogni appartenente al Clan di Czarny skal non può ignorare!” tutti guardavano fissi Kill’rog nessuno si sarebbe mai aspettato che avrebbe raccontato una storia; tutti ci si aspettava un esercitazione di combattimento o qualcosa di simile.
“Non è un caso se ci troviamo all’ombra di queste pietre, perché è qui che accaddero i fatti principali della storia; ed è a causa loro se il nostro villaggio si trova là dove è ora…”

La leggenda di Mood

( Premetto che sono passati diverse primavere da quando Kill’rog mi raccontò questa storia, per cui, inevitabilmente, qualche particolare potrebbe essere alterato rispetto all’originale; ma sui fatti principali spero di essere stato sufficientemente fedele. )

Sono passati diversi anni dal giorno in cui questa storia ebbe inizio; quello era un periodo oscuro, molti regni erano coinvolti in una delle più grandi battaglie che la storia ricordi; non passava giorno che migliaia di vite si spegnessero. E la causa di tutto ciò era l’avanzata di un’imponente armata di orchi, come non se ne erano mai viste, dalle terre meridionali. I regni cadevano uno dopo l’altro e molti sovrani avevano scelto di allearsi con questa forza, pur di vedere intatto il loro regno. L’avanzata orchesca venne però arrestata ai piedi delle mura di Artaxata. Per giorni la battaglia infuriava in quella zona, senza vincitori ne vinti; ma soltanto morti da entrambe le fazioni. Nulla avrebbe fermato la guerra, nulla che qualcuno si potesse aspettare quantomeno. Ma accade proprio ciò che nessuno si sarebbe potuto nemmeno immaginare.
Nel regno elfico di Balasghun due strane figure facevano ingresso nella capitale Almalik, nascosta tra gli alberi secolari di una sterminata foresta. Erano in due; due figure incappucciate coperte da mantelli, uno era molto piccolo, poco più alto di un metro, si sarebbe scambiato per un bambino se non fosse stato per i lineamenti del viso che ne denotavano un’età più adulta, questo si appoggiava ad un bastone che raggiungeva quasi il doppio della sua altezza. L’altro era invece alto più del doppio del suo compare e anche sotto il mantello appariva decisamente magro. Subito la sentinella comparve bloccando i due forestieri. Con l’arco già teso a la freccia incoccata attese che i due si togliessero il cappuccio, appena questi mostrarono il viso alla sentinella fu tutto chiaro.
“Enderon, il nostro sovrano vi stava aspettando” e lasciò i due proseguire per la loro strada, si avvicinarono verso uno dei più grossi alberi, e solo quando furono a pochi passi da questo poterono vedere che il tronco stesso costituiva una scala che saliva a spirale verso la cima dell’albero.
Da quell’altezza si poteva dominare tutta la foresta, si trovavano sulla cima del più alto albero di tutta la foresta e là, indistinguibile dalle normali fronde e foglie c’era la sala del trono, e re Enderon che accolse i visitatori con un sorriso piuttosto forzato.
“Siete arrivati finalmente! Quali nuove portate da Artaxata, e quale motivo vi ha spinto fino a qui” il più basso prese la parola e rispose con voce calma e pacata
“Da Artaxata non ci sono novità, come penso tu già sapessi, e riguardo al motivo della nostra visita sai benissimo di cosa si tratta.” Disse accennando col capo al suo compagno; il re non celò un certo disgusto nel vederlo “Certo Mood vuole vedere un’ultima volta Antan…” e quindi aggiunse “Ma la scorsa volta avevi promesso che sarebbe stata l’ultima, mago” il mago prese immediatamente le difese di Mood e con diversi giri di parole riuscì a convincere il re a concedere questo incontro. Così quando scesero dall’albero Mood trovò Antan ad attenderlo.
Antan era una giovane elfo femmina, i suoi occhi azzurri si riempirono di gioia nel vedere Mood. I due impazienti si abbracciarono forte, e quindi Mood, dopo aver cercato il consenso del mago con uno sguardo, la prese sotto braccio e la condusse in un luogo appartato della foresta. Il mago si sedette appoggiato ad un albero e accese la sua pipa aspettando che i due ritornassero. Pensieroso guardava il fumo salire lento e assumere le strane forme impostegli dalla lieve brezza boschiva. D’improvviso un’ombra apparve dinanzi a lui, oscurandogli completamente la visuale; non che bisognasse essere dei giganti per farlo data la statura del mago. Di fatti chi gli si parava davanti era un uomo, sicuramente robusto, ma non un gigante. “Sir Shapur di Artaxana, per servirla” disse con un sorriso abbassandosi per stringere la mano al suo interlocutore, il mago rispose al saluto e sbottò “A cosa devo l’onore?”
“Re Enderon mi ha incaricato di seguirla, ha detto che avrei potuto aiutare meglio il mio popolo stando con lei piuttosto che combattendo alle mura!” lo sguardo del mago s’incupì, non amava troppo i fuori programma. “Se questa è la decisione del re che così sia!” quindi tornò a sedersi noncurante dello sguardo sorpreso di Shapur che si aspettava di partire immediatamente, come si poteva essere tanto tranquilli con una guerra in corso! “Se la seguo è solo per la sua indiscussa fama, maestro Montag!” esclamò l’uomo con una certa insolenza “D’accordo” rispose il mago senza scomporsi ne tanto meno alzarsi da terra. Passarono diversi minuti e la coppia giunse dal mago, lei teneva in mano un bastone sul quale si notavano delle incisioni in elfico. L’orco si avvicinò all’orecchio del mago ma lui lo fermò “Non c’è bisogno Mood so già cosa vuoi dirmi” poi, notando lo sguardo interrogativo che Mood rivolgeva all’umano aggiunse “Quello è sir Shapur, è venuto per aiutarci nella nostra impresa” l’orco non fece ulteriori domande, Antan diede quindi il bastone al piccolo mago che lo prese con un sorriso “il vostro aiuto non sarà dimenticato; e specialmente il tuo…” si voltò verso gli altri due “è ora di mettersi in marcia! Muoviamoci!” Lo sguardo di Mood era triste, ma sapeva che non doveva voltarsi, vedere un’altra volta gli occhi di Antan sarebbe stata un’inutile sofferenza, soprattutto ora che erano bagnati di lacrime. Shapur era stato invitato a lasciare l’armatura pesante al villaggio in modo che potessero proseguire più rapidamente “non ci dovranno essere né ci saranno scontri” lo tranquillizzò il mago, “ e poi al momento opportuno ti fornirò delle armi anche superiori a quelle che lasci qua” Shapur allettato dall’idea di possedere strumenti più potenti con cui eradicare il male che infestava le sue terre, non obbiettò all’ordine del mago.
Per tutto il giorno marciarono spediti sempre diretti verso sud lungo le montagne orientali la strada era lunga e tortuosa; seguiva immense valli e scavalcava alti passi di montagna dove la neve arrivava al ginocchio. Sull’ennesima salita il mago si arrestò “oltre quella cima si trova Adhur Gushnasp; là potremo fermarci e riposare.” Queste parole rincuorarono gli altri due che affrettarono il passo per raggiungere al più presto la cima.
Dalla vetta però lo spettacolo non era così bello come ci si potesse immaginare, ai piedi della montagna si trovavano solo ruderi fumanti, ciò che un tempo era una città piena di vita ora era poco più che un mucchio di pietre e ceneri, non una sola costruzione era rimasta in piedi, un lavoro fin troppo minuzioso per un esercito di orchi. Appena scesero in “città” Shapur si inginocchiò, prese tra le mani un mucchietto di cenere “Questa era la mia gente! Quei mostri pagheranno anche questo!” “Calmati” disse subito il mago poggiando il suo bastone sulla sua spalla “è proprio per questo che abbiamo intrapreso questo viaggio, ma ora è tempo di riposare, il cielo va scurendosi, e questo e forse l’unico posto in cui non troveremo orchi; loro non vanno dove non c’è più nulla da distruggere…” la notte passò gelida e silenziosa e tra tutti riuscirono a dormire molto poco, le preoccupazioni ed i problemi erano davvero troppi per potersi abbandonare al sonno. La mattina dopo il Sole appena spuntato dall’orizzonte sorprese il gruppo già in marcia; “Dobbiamo raggiungere quanto prima le grotte di Ecbatana” aveva detto il mago quando la luna era ancora alta nel cielo. Rispetto al giorno precedente questa tappa sembrava una vera passeggiata; le montagne erano decisamente più basse e i pendii più dolci, più facili quindi da salire e scendere. Ma la felicità per la mancanza di difficoltà venne presto a meno quando il mago si arrestò sulla riva di un grosso fiume e, indicando sull’altra riva una stretta e ripida valle da cui scendeva tumultuoso un suo affluente disse “Ecco lassù si trovano le grotte; la nostra meta per oggi; spero vi sappiate arrampicare!”
Soltanto raggiungere l’altra sponda senza farsi trascinare via dalla corrente era tutt’altro che uno scherzo, e una volta raggiunta la terra, già abbastanza stanchi, iniziava la parte più difficile. Non vi erano sentieri o passaggi e subito anche i due capirono che l’unica strada era risalire lungo il letto del fiume. L’acqua scendeva impetuosa spingendo verso il basso gli incauti arrampicatori, sia Mood che Shapur caddero più volte dai loro appigli, procurandosi ferite di ogni genere; solo il piccolo mago, benché portasse con se due bastoni ben più lunghi del suo corpo, pareva salire senza alcuna difficoltà e spesso si doveva fermare ad attendere i suoi due grossi compari. Una sorta di sorrisetto di soddisfazione si era dipinto sul suo viso, mentre risaliva la corrente con l’agilità di un salmone. Diverse ore ci vollero per raggiungere le agognate grotte, invisibili dal fondo della valle e pressoché irraggiungibili. Due grosse volte di pietra si aprivano nel fianco della valle; il mago entrò in quella di destra e una luce ne illumino l’interno; delle lunge stalattiti venivano illuminate da delle luci la cui origine era incomprensibile, non vi erano fuochi ne niente di simile; solo una diffusa luminosità che faceva brillare le goccioline d’acqua sulla volta come piccole gemme. “Seguitemi” disse il mago, la sua voce rimbombava nella grotta “Attenti, qua dentro anche un sussurro può fare rumore!” disse a bassa voce e il messaggio amplificato dal rimbombo giunse chiaro ai due.
Per una buona mezz’ora il gruppo s’inoltrò nelle viscere della terra, attraverso stretti cunicoli e sotto ampie volute della quali non si vedeva la cima. Giunsero in fine nella più ampia delle aperture in un angolo appena visibile vi era una casetta di pietra, ad un bisbiglio del mago al suo interno si accese una calda luce “Benvenuti nella mia casa” esclamò dirigendosi con passo spedito.
All’interno pareva piccola ma accogliente; un fuoco scoppiettava nel camino della stanza d’ingresso; il mago fece accomodare Shapur su una grossa poltrona rossa davanti al camino nella quale sprofondò volentieri socchiudendo gli occhi. Quindi il piccoletto prese per mano il grosso orco e lo condusse oltre una piccola porta di legno, che costrinse Mood a piegarsi più che poteva per poter passare. La stanza oltre al porta era molto piccola, poco più che un ripostiglio e il corpo di Mood ne occupava da solo buona parte; alle pareti erano appese sette file di mensole cariche di oggetti strani avvolti in stoffe di diversi colori o in fogli di carta. Il piccolo mago si arrampicò fino all’ultima mensola e da questa prese un grosso oggetto avvolto in un panno rosso. Scese borbottando frasi tipo “ci l’avrebbe mai detto” “tutto ciò ha dell’incredibile” ...
Lo posò sul tavolo che occupava la parte di stanza non occupata dall’orco e lo scartò; sotto gli occhi curiosi di Mood apparve una lama di un ascia, su di essa vi erano delle scritte in orchesco in bassorilievo, “Ecco l’Ascia dell’Orda” sussurrò il mago “Un’arma davvero potente, che solo un orco può usare, per anni ha seminato morte e distruzione tra la genti umane e mai avrei creduto che sarebbe tornata in mane orchesche e meno che mai che fossi io a darla” Gli occhi di Mood si riempirono di eccitazione e attesa, come un bambino che freme per avere un nuovo giocattolo. “ma ahimè” prosegui il mago “mi pare l’unico strumento che possa fermare Silfin” quindi prese il bastone consegnatoli da Antan e lo infilò nella lama; le scritte sul bastone iniziarono a brillare di un’intensa luce gialla mente quella sulla lama s’illuminarono di un rosso vivo, per qualche secondo la luce fu quasi accecante, ma poi, lentamente s’abbassò fino a spegnersi. “Oggi abbiamo creato una nuova arma né elfica né orchesca, difficile stabilire quali saranno i suoi poteri; ma dall’unione di questi due popoli, da sempre divisi non può che nascere un’arma micidiale.” Quindi fece cenno a Mood di prenderla in mano che non si fece ripetere l’invito e la impugnò saldamente. “è tua ora!” esclamò il mago “è il più prezioso dei tuoi tesori e come tale devi custodirla ma sarà anche la migliore delle tue alleate a come tale potrai sempre contare sul suo aiuto.” I due uscirono dallo stanzino; nella sala davanti al fuoco Shapur li attendeva, “c’è ne avete messo di tempo!” esclamò rivedendoli “si può sapere che cosa..” Il mago lo fermò prima che potesse completare la domanda, “Calmati Shapur, è tempo di riposare, domani entreremo nella terra degli orchi; è indispensabile che siate in piena forma!” l’umano, seppure non contento di essere trattato in quel modo ascoltò il consiglio del piccoletto tornando ad adagiarsi sulla poltrona; non appena ebbe trovato una posizione comoda il mago ricominciò a parlare “ho qualcosa per te Shapur!” l’uomo si alzò di scatto “Prendi questo amuleto, ti permetterà di essere riconosciuto come amico del Clan Czarny skal in modo che tu possa lottare al loro fianco” quindi gettò un piccolo oggetto nelle mani dell’umano che lo appese intorno al collo “Credo di doverti ringraziare… ma le armi?” “Domani, prima di partire ti permetterò i prendere tutto ciò che vorrai dalla mia armeria; non ti preoccupare troverai di certo qualcosa di adatto a te!” .Dopo una lunga pausa aggiunse “E tu Mood prendi questo!” dal mantello il mago estrasse un oggetto che sembrava essere un grosso uovo “e cosa ma ne faccio?” esclamò l’orco dopo averlo preso, “non ho idea di quali poteri abbia ma un sogno m’ha detto di donarlo a te, e io così ho fatto!”
Nel ventre della grotta non si poteva distinguere il giorno dalla notte ma tutti caddero in un sonno profondo, in un certo modo gli oggetti acquisiti furono sufficienti a far fare sogni tranquilli in attesa del giorno successivo; il giorno in cui avrebbero raggiunto la terra degli orchi.

La Terra degli orchi

Trascorse la notte e giunse il mattino; o almeno così si doveva supporre dato che la luce nella grotta era sempre la stessa. Montag, il mago, offrì ai suoi “ospiti” un lauto pasto a base di uova e latte che venne divorato in pochi istanti. Con ancora in bocca l’ultimo boccone, e un sacchetto di viveri legato alla cintola, uscirono dalla grotta diretti verso le zone più profonde della grotta; non c’è tempo da perdere continuava a ripetere il mago. Il gruppetto con Montag in testa proseguiva spedito e s’arrestò dinanzi a un grosso pilastro di roccia verde a stretto contatto con la parete destra della grotta. Il piccolo mago sollevò il suo bastone e, pronunciando alcune parole sconosciute agli altri, ne fece scaturire un’intensa luce bianca che colpì il pilastro facendolo scomparire. Là dove si trovava il pilastro ora c’era un varco nella roccia; i tre vi passarono attraverso e si ritrovarono in una grande camera ricavata nella roccia; alle pareti erano accatastate un’infinità di armi divise per categorie: pile di scudi seguivano montagne di armature di varia foggia e colore. “C’è né per un intero esercito” esclamò Shapur colmo i meraviglia “Benvenuti nella mia armeria personale!” rispose il mago con un sorrisetto “spero che troverai quello che ti serve per questa impresa!” l’umano si allontanò dagli altri due percorrendo con lo sguardo tutti quei strumenti di guerra; il mago e l’orco si sedettero vicino all’ingresso aspettando che si fosse preparato. Dopo una decina di minuti Shapur s’avvicinò ai due con aria trionfante; indossava un’armatura che pareva essere costituita da squame di drago; in una mano stringeva una lunga spada dalla cui lama si dissipavano delle tenui nuvolette di vapore, e nell’altra teneva uno scudo rotondo candidamente bianco. La marcia riprese immediatamente, sempre verso la viscere della montagna, per diverse ore continuarono a camminare sulla roccia calcarea della grotta. Il cammino sembrava senza fine ma d’un tratto arrivarono a un punto in cui la grotta si interrompeva, con un’alta parete di roccia massiccia. Shapur trattenne un irritato “e adesso!”, aveva imparato a fidarsi del mago ma la sua dubbiosità comparve chiaramente sul viso, tanto che anche Mood poté notare il suo scetticismo e sorrise con l’atteggiamento di chi la sa lunga. Montag sollevò il suo bastone una seconda volta, è iniziò una specie di canzone in cui frasi nella lingua di Artaxata, in orchesco e in un idioma sconosciuto si mischiavano. Per dei lunghi minuti la sua voce si diffuse in tutta la grotta; il sudore imperlava la fronte del mago; era evidente che quel rito era più stancante di quanto potesse apparire ad un osservatore esterno. Montag tacque di colpo, per pochi istanti un silenzio assoluto e irreale riempi l’atmosfera, improvvisamente, facendo sobbalzare i due guerrieri, un forte rumore riempì l’aria, poteva sembrare il suono di una valanga o di un vulcano in procinto di eruttare. La parete scricchiolando cambiava forma, lentamente la roccia si spostava a comporre un immenso portale, ai lati di questo si scolpirono due statue raffiguranti l’una un mago umano con una lunga barba e l’altra un orco mago. Se l’apertura dell’armeria aveva stupito Shapur questa volta rischiava quasi di cadere a terra per lo stupore. Dopo aver ripreso fiato Montag disse con voce seria: “Un tempo remoto, prima di queste guerre e massacri, maghi di razza umana e orchesca si ritrovavano qua per condividere le conoscenze e fare grande il loro sapere” s’interruppe per un paio di colpetti di tosse “da qui il nome: Portale Magi”. Quindi si avviò con passo deciso attraverso la struttura di pietra seguito dagli altri due. Oltre il portale la grotta diventava un cunicolo nel quale erano scavate delle scale che scendevano verso l’oscurità. Le pareti erano ricoperta da cristalli che s’illuminavano dei più disparati colori al passaggio del gruppo e si spegnevano dietro di loro. L’aria diventava sempre più pesante, carica di uno strano odore man mano che si proseguiva cresceva una strana sensazione di stanchezza e di sonnolenza, nessuno aveva comunque intenzione di fermarsi, era come se le gambe proseguissero da sole. A un certo punto Mood si accorse che la strada che percorrevano non era più in discesa ma saliva lentamente e l’aria diventava sempre più pulita, sarebbe stato impossibile dire in quale punto si fosse cambiata la pendenza; era come cercare di stabilire l’esatto momento in cui inizia il sonno e finisce la veglia.
Attraversarono così un altro portale, identico al primo, tanto che per un attimo si sarebbe potuto pensare di essere ritornati al punto di partenza. Ma guardando con attenzione si poteva notare come la grotta fosse assolutamente diversa; di fronte a loro già si vedeva un fascio di luce, verso cui Montag si era diretto, gli altri due lo seguirono senza prestare particolare attenzione al portale che era sparito alle loro spalle. Appena fuori dalla grotta uno sterminato panorama si apriva davanti agli occhi del gruppo; un panorama che Shapur non si sarebbe mai aspettato dalla terra dagli orchi. Il cielo era di un intenso azzurro, il Sole appena sorto da delle montagne a oriente, faceva luccicare l’acqua di un immenso lago appena mossa da una leggera brezza. Non c’erano distese di lava e vulcani in continua eruzione come si sarebbe aspettato il cavaliere umano; anzi quella poteva essere la vista di una valle del suo regno. “è bella la terra orchesca; soprattutto in queste mattine primaverili, quando l’aria è fresca e il cielo limpido, ma è una terra piena di pericoli! Non dimenticare mai che questa non è la tua casa!” esclamò il mago cogliendo lo sguardo meravigliato di Shapur. “Ora le nostre strade si dividono; io proseguirò verso ovest, alla cima dei draghi; mentre la vostra direzione sarà nord, verso le terre del clan Czarny skal; i nostri unici alleati in questa battaglia per ora.” Non c’era tempo per perdersi in saluti, così una pacca di Mood sulla spalla e una calorosa stretta di mano di Shapur, furono gli auguri che il mago ricevette prima di incamminarsi lungo uno stretto sentiero che spariva nei boschi. Appena Montag sparì dalla vista anche gli altri due si misero in cammino procedendo nella direzione opposta. Costeggiarono la montagna, ricoperta da arbusti e qualche sparuto alberello fino a raggiungere il fianco occidentale; aggirata la cima apparve, stagliandosi fiero sull’orizzonte il picco oscuro; un monte altissimo che perforava le nubi; molto più scuro delle montagne circostanti, fatta eccezione per la cima che era ricoperta di neve candida. Mood additò l’imponente massiccio “Ai suoi piedi si trova il villaggio Czarny skal, la nostra meta. Ora che lo sai anche tu possiamo proseguire spediti.” All’orco faceva ancora una strana impressione il fatto di condurre un umano attraverso le sue terre; da quando era bambino aveva considerato quella razza come nemica, ma quante cose erano cambiate da allora e su quante presunte certezze si era già dovuto ricredere. Il sentiero intanto si era inoltrato in una foresta formata da alberi tozzi e con foglie molto larghe. Proseguivano senza scambiarsi parola sempre puntando verso Nord, quando d’improvviso Mood si arrestò, prese il suo compagno per la manica e lo trascinò dietro un cespuglio questo stava per domandare all’orco del suo strano atteggiamento ma dei passi pesanti lo fecero zittire. Due strane creature percorrevano il sentiero, ammesso che si potessero definire tali, non sembrava che avessero un capo o degli occhi, procedevano l’una su due lunghe zampe scheletriche, l’altra su quattro tozzi arti. Quando si avvicinarono si diffuse nell’aria un intenso e nauseante odore di cadavere; era facile capire da dove provenisse; entrambe le bestie erano costitute da scheletri e brandelli di carne appartenute a chissà quali esseri viventi, tenuti assieme da un qualche potere magico. Una volta che si furono allontanate, Shapur chiese cosa fossero quelle strane creature; “Noi le chiamiamo zec, ossia “cosa” in orchesco, non esiste altra parola adatta a definirle; sono esseri creati dai Negromanti, vagano in cerca di cadaveri da consegnare ai loro padroni per creare altri aberrazioni” Mood aggiunse “è meglio evitare di affrontarli; in fondo i Negromanti sono tra i pochi che Silfin non riesce a controllare, perciò il nemico del mio nemico…”. Le ore passavano e finì anche il pomeriggio col Sole che andava lentamente a stemperarsi nel grande lago che la mattina aveva attratto l’attenzione di Shapur. L’oscurità calò così sulla terra degli orchi e la foresta si riempì di suoni, strani versi di creature vicine e lontane si mischiavano componendo nell’aria una melodia unica. Non appena iniziarono a calare le tenebre Mood sfoderò la sua ascia e procedette tenendola stretta tra le mani; gesto che fu immediatamente eseguito anche da Shapur che sfoderò la spada. I due procedevano cautamente nella foresta che diventava sempre più buia e tetra. Un forte rumore li sorprese facendoli sobbalzare, videro un albero rotolare a valle fragorosamente, l’umano pareva tranquillizzato aspettandosi la comparsa di qualche mostro, ma Mood non pareva affatto tranquillo, il volto era ancora teso; lui sapeva che raramente gli alberi cadono da soli; e conosceva la bestia che soleva annunciarsi in questo modo. Non passarono che pochi istanti quando un altro rumore riempì l’aria, intenso e continuo come una valanga, i due si guardavano nervosamente intorno cercando la fonte; improvvisamente una creatura sbucò dalla foresta colpendo Mood e facendolo cadere verso valle, fuori dalla vista di Shapur. Il cavaliere impugnò saldamente spada e scudo mentre studiava dove poter colpire l’avversario. Ciò che Shapur riuscì a capire nella scarsa luce che filtrava nella foresta era che la creatura era interamente ricoperta da grossi aculei, e che riusciva a muoverli con l’agilità di uno spadaccino. Il cavaliere parandosi dietro lo scudo, che pareva reggere i pesanti colpi inferti dalla bestia, cercava di colpire con qualche fendente; ma dare un affondo in un punto vitale era pressoché impossibile “dove diavolo può avere il cuore o la testa un mostro del genere?” pensava mentre i colpi sullo scudo stavano quasi per strappargli il braccio. La situazione pareva essere in stallo, ma lo strano essere riuscì a infilare un aculeo dietro lo scudo, strappandolo così di mano al cavaliere e facendolo volare dietro le spalle dove cadde con un tonfo. Oramai privo di protezione Shapur doveva chiudere al più presto la partita che lo vedeva decisamente sfavorito. Ma il mostro pareva non riuscisse più a vedere il suo avversario, colpendo la terra e l’aria ad alcuni metri dal suo obbiettivo. Quindi crollò a terra di schianto lasciando esterrefatto il guerriero che stringeva ancora la spada in posizione di guardia. Una voce ruppe il silenzio che era calato velocemente. “Mi daresti una mano a uscire di qua?” era Mood e la sua voce proveniva da qualche parte verso la bestia. Shapur si avvicinò all’animale che giaceva a terra; a metà del torace notò qualcosa che si dimenava, l’orco si trovava schiacciato dalla pancia in giù, e voleva quanto prima liberarsi da quella scomoda posizione. L’umano aiutò il suo compagno a uscire. “Grazie” sbottò l’orco appena fu liberato, “un Colciaui, strana creatura” spiegò Mood “attacca sempre con la coda tenendo la testa sotto il ventre, basta tagliare quella… ma quanto sangue!” sull’ultima affermazione si mise a ridere, fu allora che Shapur notò che il suo compagno era completamente fradicio. “dobbiamo comunque proseguire!” Esclamò cercando di asciugarsi almeno il viso “La notte qua non è fatta per riposarsi…” .
Recuperarono lo scudo e lasciarono il cadavere in pasto ai zec, quindi proseguirono il cammino verso nord. Durante la marcia Mood si sbilanciò addirittura in qualche apprezzamento su come il suo compagno avesse saputo tener testa alla creatura incontrata poco prima. Raggiunsero un piccolo ruscello proprio mentre la luce del Sole tornava a illuminare i monti; qui Mood decidette di effettuare una sosta, era un’intera giornata che marciavano senza sosta e in fondo era curioso di vedere che cosa aveva messo Montag nei sacchetti dei viveri. Dopo essersi ripulito dal sangue rappreso nelle limpide e gelide acque del torrentello diede mano al suo sacchetto, e mentre Shapur sbocconcellava un panino alternando un morso di questo con uno di una saporita carne salata, l’orco iniziò a trangugiare tutto in modo da riempirsi il più velocemente possibile la bocca e lo stomaco. “possiamo sostare qua per riprendere un po’ le forze, non fa bene continuare a marciare troppo stanchi per poter affrontare un combattimento!” quindi si abbandonò sull’erbetta tenera che ricopriva le sponde del torrente. Dopo aver osservato il suo compagno caricare, accendere e fumare da uno strano oggetto, che poi apprese chiamarsi pipa, si abbandonò ai suoi pensieri. “Ecco l’orco strano tornato sulle sue terre… Quanto tempo fa è cominciato tutto questo; quando segui Montag nelle terre degli uomini… Erano quasi contenti di sbarazzarsi di uno come me al villaggio… già, l’orco strano ecco come mi chiamavano; eh nessun appellativo si sarebbe rivelato più azzeccato… Chissà quando potrò tornare a Balasghun…” senza accorgersene i pensieri divennero sogni. Si ritrovò solo circondato dal deserto, abbandonato da tutti, uno Jatzkur correva lontano ma per quanti sforzi facesse non riusciva a raggiungerlo, i suoi passi si facevano sempre più pesanti, come se fosse affetto da una insostenibile stanchezza, cadde a terra e si sedette sulla sabbia rovente, sconsolato, che razza di orco era, sempre stanco… poi da lontano dall’orizzonte una figura bassa si avvicinava, Mood avrebbe voluto alzarsi ma non riusciva a fare nemmeno quel semplice gesto, la figura ora era più vicina, e si fermò a pochi passi dall’orco; era Montag! Lui avrebbe spiegato tutto e l’avrebbe aiutato!! Ma lui stava fermo, di colpo estrasse l’ascia, Mood non fece tempo a chiedersi da dove che già la reggeva in mano. Era come se tutto il suo braccio vibrasse …
“Sveglia! Amico” Shapur scuoteva violentemente il compagno per il braccio “non dobbiamo andare?” Mood rimase sorpreso di se stesso, addormentarsi così, nel bel mezzo nel cammino, era proprio un gesto incauto. Ma il cavaliere non sembrava essersela presa troppo, e i due si rimisero subito in cammino sempre risparmiando le energie che avrebbero potuto usare per parlare.
L’azzurro del cielo iniziava già a mischiarsi col blu della notte e dietro i monti lontane nuvole rosse coloravano l’orizzonte quando raggiunsero la conca di Czarny Skal; ecco là la loro meta. “Strano” rifletté Mood, “la notte sta calando eppure nessuna luce brilla ancora nel villaggio”. Ciononostante accelerò il passo ansioso di rivedere la sua gente.

Czarny Skal

Avanzavano tra le basse capanne, non una voce o un suono qualsiasi animava il villaggio, fatto che non poteva che dare preoccupazioni a Mood. Avanzavano cauti, armi in mano, con le orecchie tese ad avvertire ogni possibile fruscio. Se fosse stata una trappola ci erano caduti completamente; ma non avevano intenzione di arrendersi facilmente; non POTEVANO arrendersi. Un lieve rumore attrasse la loro attenzione, proveniva da dietro una delle capanne, cautamente i due l’aggirarono sperando di cogliere di sorpresa il loro presunto assalitore. Ancora pochi passi e si sarebbero trovati di fronte al loro avversario, il sole era basso all’orizzonte e disegnava lunge ombre sul terreno; da dietro la capanna si vedeva chiaramente sporgere l’ombra di qualcuno. I due si scambiarono uno sguardo d’intesa e si lanciarono contro l’incauto avversario. In pochi istanti Mood tirò un fendente con la sua ascia che riuscì a far diventare un piatto ruotando l’ascia mentre vibrava il colpo; contemporaneamente staccò una mano dall’ascia per fermare il colo di Shapur che stava già calando la sua spada, l’avversario era comunque caduto a terra dopo la botta inaspettata.
“Jonn’gon !” esclamò Mood porgendo la mano all’avversario che lui stesso aveva fatto cadere; questi era un orco; ben più robusto del compagno di Shapur, e immediatamente riconosciuto il suo assalitore rispose con un sorriso “Mood! Finalmente è tornato l’orco strano! He he; Kill’rog non si sbagliava!” poi, volgendo uno sguardo torvo al suo compagno aggiunse “E questo? Da dove salta fuori?”. Shapur mostrò istintivamente il medaglione donatogli da Montag, appena l’orco lo vide si tranquillizzò e invitò i due a seguirlo. “Così avete abbandonato il villaggio” Mood ruppe il silenzio del gruppetto che avanzava verso i monti che chiudevano la conca a Nord. “già” rispose Jonn’gon “Per Silfin non dobbiamo esserci più; ci deve credere fuggiti in qualche terra lontana; solo così lo potremo cogliere di sorpresa; in fondo noi conosciamo queste terre molto meglio di lui!”. Era visibilmente elettrizzato mentre diceva queste parole; sapeva che il ritorno di Mood significava che presto avrebbero assaltato la fortezza di Silfin.
Era già calato il buio quando giunsero a destinazione; una grotta si apriva nel fianco della montagna; ma la si poteva riconoscere solo da breve distanza dato che l’imboccatura era coperta da rami, pietre ed alcune grosse pelli. Quando entrarono capirono il perché della copertura; si trovarono dinnanzi a una lunga tavolata presso la quale sedevano diversi orchi intenti a mangiare chiassosamente; altri facevano delle zuffe al lato del tavolo; altri ancora si dilettavano a gareggiare a chi sputasse più lontano. Tutta la sala era illuminata da grosse torce e da bracieri appesi al soffitto; era chiaro che, senza copertura quell’antro naturale si sarebbe potuto scorgere anche a notevole distanza, come un faro nella notte. Un orco, forse il più massiccio di tutti, si fece incontro ai nuovi arrivati. “Bentornato Mood!” disse stringendogli la mano “grazie Kill’rog, è un piacere rivederti!” rispose Mood “Alla fine sei tu il capo del Clan a quanto ho sentito; beh, non potevano scegliere orco migliore!” Kill’rog esplose in una sonora risata quindi si rivolse a Shapur “e tu, cavaliere… , beh il medaglione dice che sei amico di Montag; per cui sei anche amico mio!” quindi lo prese sotto braccio e gridò verso i suoi compagni “Fratelli! È tornato Mood, l’orco strano, con un suo amico. Che non dicano che i Czarny skal non accolgano gli ospiti come si deve!” urla, fischi e risate si levarono da ogni angolo, Mood e Shapur si ritrovarono con in mano un grosso boccale a testa pieno di un liquido giallo chiaro schiumoso. Gli orchi levarono i boccali e gridarono ognuno qualcosa di diverso col risultato di fare un gran baccano e che i nuovi arrivati non capirono una parola. Shapur non aveva mai visto niente del genere; l’odore poteva sembrare quello della panna, ma la consistenza era molto più liquida, avvicinò titubante le labbra per saggiarne il gusto, in quel momento Kill’rog, che evidentemente aveva preso in simpatia il nuovo arrivato, gli alzò di scatto il boccale. Il cavaliere si trovò quasi sommerso da quell’ondata improvvisa e si ritrovò ad avere inghiottito una buona metà del boccale mentre il resto gli colava dal mento lungo il petto. Era evidente che per gli orchi gli ospiti erano poco più che un pretesto per far festa e alzare il gomito un po’ più del solito; difatti avevano già ignorato i nuovi arrivati e chiacchieravano tra di loro continuando a svuotare e riempire i loro boccali. Kill’rog invitò quindi i suoi ospiti a sedere alla tavola e a mangiare qualcosa prima che i suoi compari divorassero tutto. Shapur barcollava, doveva ammettere che la bevanda che gli avevano fatto tracannare lo aveva colpito come una martellata in testa, cosa che fece scompisciare dalle risate Kill’rog, che già trovava divertenti gli esseri umani, vederli ubriachi poi era proprio uno spasso. Tra un boccone e l’altro Mood chiese al capo del Clan “ma come sapevi che sarei arrivato?” in effetti il fatto che avesse mandato Jonn’gon al villaggio prevedendo il suo arrivo lo stupiva alquanto. “Eh?! Non te lo immagini?!?” rispose stupito “Kashlek aveva avvertito il tuo arrivo, probabilmente ti ha addirittura visto arrivare; non finirò mai di stupirmi di quanto siano acuti i sensi di uno Jatzkur!” “come mi sono potuto scordare di Kashlek!? Questa non me la perdonerà mai!” esclamo Mood “Ma dov’è adesso!” “Beh tutti gli jatzkur sono in quella grotta laterale, oltre delle pesanti pellicce, sai meglio di me come odino la confusione ed i rumori forti!” Mood non se lo fece ripetere, si alzò dal tavolo e corse dove gli era stato indicato dal capo clan. Nella sala avvolta nella semi oscurità diversi Jatzkur riposavano uno affianco all’altro. Era difficile stabilire dove fossero i contorni dei lunghi corpi affusolati di questi lucertoloni data l’oscurità del luogo e l’ammassamento degli animali. Mood non aveva fatto a tempo a richiudere il sipario di pelli che già una testa si era levata a fissarlo, quando l’orco se ne rese conto lo Jatzkur gli era già addosso, lo aveva steso per terra e stringeva il suo braccio destro tra le fauci.
Mood non provava alcun dolore, e non perché fosse particolarmente resistente ma perché l’animale non aveva alcuna intenzione di procuraglielo, era solo un rimprovero, per non averlo salutato per primo. L’orco lo sapeva e infatti accarezzò il capo della bestia con la mano libera; Kashlek mollò la prese e iniziò a leccare la faccia di Mood. L’orco era molto felice, aveva ritrovato il suo più caro e fedele amico; quante avventure avevano passato assieme e quanto era stato doloroso il momento dell’addio, quando dovette partire per la terra degli uomini.
Mentre questo accadeva il prode Shapur stava affrontando il suo secondo boccale di quella strana bevanda mentre masticava un grasso cosciotto. Gli orchi parlavano chiassosamente, a volte rivolgendosi al cavaliere che non capendo una parola in orchesco non potevo che rispondere con sorrisi idioti. Soltanto Kill’rog conosceva un po’ la lingua dell’umano perciò fu solo con lui che Shapur poté comunicare. E l’unica cosa di cui il capo clan amasse parlare era del suo esercito ne consegue che pilotò il discorso sin dalle prime battute su questo argomento. Il reparto di cui più amava vantarsi era quello dei Dompan, ma appena accennò questa parola vede lo stupore dipingersi sul volto del suo interlocutore, non aveva mai sentito nominare simili creature, cosa che per Kill’rog era inconcepibile. Lo prese quindi per il braccio conducendolo all’esterno dell’antro naturale, continuando a ripetere frasi del tipo “mai visto un Dompan… ma dove hai vissuto fino adesso??”.
La fredda aria della notte sferzò il viso del cavaliere facendolo riprendere un poco dallo stato semi comatoso in cui la bevanda orchesca lo aveva condotto. Proseguirono lungo il fianco della montagna alla luce della luna piena che, in quella notte priva di nuvole, si mostrava in tutto il suo splendore. L’orco si arrestò di colpo e fu allora che Shapur vide l’oggetto delle sue lodi. Poco più in basso rispetto a loro dei grossi animali brucavano placidamente dalle fronde degli alberi; dalla mole potevano sembrare elefanti e non avevano la caratteristica lunga proboscide e nemmeno le grandi orecchie né tanto meno le lunghe zanne; in compenso avevano delle creste sulla nuca che, per quanto poteva notare Shapur erano in grado di alzare ed abbassare a piacimento, i lunghi musi erano intenti a defogliare i rami degli alberi, con lo sguardo innocuo tipico degli animali erbivori. “Ecco i Dompan!”ribadì Kill’rog con fierezza “le migliori bestie che calpestino queste terre a mio avviso! Anche se Chongo, il mio jatzkur penso che non sarebbe d’accordo a riguardo!”
“A proposito cosa sono questi Jatzkur? Ho sentito che ne parlavate anche prima!” A sorpresa fu una voce alle sue spalle, proveniente da una figura con in mano una torcia, a rispondere facendolo sobbalzare. “Non ti preoccupare presto farai la loro conoscenza!” era Mood, che dopo aver salutato il suo fido Kashlek, era andato in cerca del suo compagno non vedendolo più nel salone principale. “ben arrivato Mood!” lo accolse il capo clan “Stavamo ammirando i Dompan al pascolo”
“Vedo!” rispose Mood “sono proprio delle creature curiose” dal tono della voce si capiva che il nuovo arrivato non nutriva affatto quella maniacale ammirazione verso questi animali che invece caratterizzava il possente Kill’rog. Fu quindi Shapur, quasi inaspettatamente a prendere la parola “Devo ricambiare per la vostra gentile offerta, quindi ho deciso di farvi provare qualcosa che noi umani amiamo consumare, specialmente nelle notti come queste per rilassarsi prima di affrontare una giornata pesante” Quindi si sedette invitando i suoi due compagni a fare altrettanto “purtroppo non ne ho da offrire a tutti per cui questo e quindi ora mi pareva il momento migliore per evitare di scatenare l’invidia di tutto il clan” Si giustificò l’umano mentre estraeva da un sacchetto la pipa che Mood aveva già visto e delle foglie secche di diverse forme e colori. Su un piccolo piattino di legno spezzettò i vegetali e li mischiò in modo da ottenere una miscela uniforme dei diversi colori. Quindi, sempre sotto lo sguardo incuriosito dei due orchi, riversò il tutto in una cavità della pipa di legno, che spiegò chiamarsi braciere, esercitò una leggera pressione con uno strumento appositamente creato per tale scopo e quindi utilizzando un bacchetto raccolse una piccola fiamma dalla torcia e la approssimo allo strano strumento mentre aspirava dall’altro capo dello stesso con la bocca. La scena era quantomeno buffa per i due orchi; un uomo che cerca di bere del fuoco era qualcosa di quantomeno insolito, i due però trattennero le risate per non offendere lo straniero le cui intenzioni erano comunque di fare un dono. Benché sembrasse impossibile Shapur era in qualche modo riuscito a inghiottire il fuoco, ciò si constatava dal fatto che dalla sua bocca uscivano delle nuvolette di fumo. Il cavaliere appariva molto divertito quando, porgendo lo strano strumento a Mood, questi li chiese se non si sarebbe bruciato, in fondo il fuoco scottava e questo lo sapeva anche il più stupido degli orchi. Con un sorriso sincero gli disse di non preoccuparsi e allora l’orco aspirò a pieni polmoni dalla cannetta dello strano oggetto. Con suo stupore non avvertì l’intenso calore del fuoco nella bocca ma solo lo strano sapore del fumo che egli inghiottì. Quando espirò uscì solo una piccola nuvoletta di fumo e gli occhi gli si riempirono di lacrime, però il sapore che quello strano arnese lasciava in bocca non era affatto male. Fu quindi il turno di Kill’rog che ebbe la stessa reazione del suo conterraneo dinnanzi a questa novità. Per diversi minuti fumarono a turno e presto anche gli orchi poterono constatare che quelle foglie avevano anche altri effetti oltre a quello del sapore che il fumo lasciava in bocca. Una sensazione di completa rilassatezza coinvolse i loro corpi, le gambe parevano leggere e lontane come le preoccupazioni che affollavano le loro menti. Restarono così, chiacchierando sotto le stelle, mentre i Dompan divoravano grandi quantità di foglie e teneri germogli in modo da essere carichi per la giornata che li avrebbe attesi domani. Quando i grossi bestioni abbandonarono la loro attività per coricarsi sotto le fronde, ora un poco più spoglie, egli alberi; anche i nostri decisero che era giunta l’ora di riposare.
Nella grotta il chiasso era scemato, molti orchi avevano abbandonato la tavolata ed ora russavano rumorosamente in qualche angolo della sala, altri, ancora svegli continuavano le loro discussioni, ma i toni erano più calmi e le pause tra le parole sempre più lunghe, lentamente il sonno stava prendendo il sopravvento anche su di loro. I nostri tre si coricarono quasi subito; il giorno dopo li attendeva una prova difficile; in ogni modo il giorno dopo sarebbe dovuto essere l’inizio della fine per il malvagio Silfin. Nonostante la stanchezza Shapur faticava a prendere sonno, era il solo umano in mezzo a quel gruppo di orchi, che fino a poco tempo prima avrebbe considerato come nemici e che ora, che egli volesse o meno, doveva considerare, se non proprio come amici, almeno come compagni in questa battaglia. Anche Mood faticava a dormire, sapeva che a lui spettava il compito più arduo; per questo lo aveva scelto Montag, e per questo lui era tornato nella sua terra. Già, Montag, il suo pensiero volò verso il mago, chissà dov’era ora, aveva intrapreso la pericolosa strada che conduceva al picco del Drago e, se l’aveva fatto, di certo là avrebbe concluso qualcosa di importante per le sorti degli eventi futuri. In fondo aveva piena fiducia nel piccolo mago; non aveva mai sbagliato nelle sue previsioni e, per Mood era sempre stato la sua guida ed il suo maestro sin da quand’era pressappoco un bambino e aveva lasciato il suo clan per seguirlo. Fu lui che gli insegnò la lingua degli umani, l’arte della scrittura e tutte quelle cose che insieme gli conferirono l’appellativo di “orco strano”. Era stato lui a condurlo nella terra degli umani e ad insegnarli tutto quello che ora sapeva su di loro. Di certo se Montag ha dato a me questo incarico e la sua fiducia vorrà dire che tutto si risolverà per il meglio, si ripeté l’orco prima di cadere nel sonno.


Jatzkur e montagne

Il Sole timidamente compariva da dietro le montagne orientali, un nuovo giorno era iniziato nella conca di Czarny skal come in tutta la terra degli orchi. Shapur fu probabilmente il primo ad alzarsi quel mattino, quando i primi orchi si svegliarono lo trovarono fuori dalla grotta intento a far roteare, con agili movenze, la sua spada nel cielo. Prima del prossimo scontro voleva possedere più pratico possibile con quella nuova arma. Vicino all’uomo, che non curante di tutto continuava il suo allenamento, si era formato un piccolo gruppetto di orchi che lo guardavano scambiandosi commenti a bassa voce. Passarono alcuni minuti e anche il capo del clan, Kill’rog, si alzò dal giaciglio, raggiunse ancora assonnato il gruppo di orchi fuori dalla grotta senza capire quale fosse l’attrattiva. Ci volle qualche istante perché l’orco, ancora più addormentato che desto, notasse il cavaliere; ma appena lo vide il suo sguardo sì riempì di sorpresa. “Avete una spada curiosa!” esclamò Kill’rog rivolto a Shapur, “me la potreste mostrare?”. Il cavaliere interruppe il suo allenamento, non aveva ancora piena fiducia negli orchi, ma contrariarli per una cosa del genere non gli pareva sensato. Diede quindi la sua arma al capo clan, il quale la strinse in mano, la osservò da entrambi i lati e si affrettò a restituirla. “è un’arma dei negromanti” disse rivolto più ai suoi compagni di clan che al cavaliere “Ma se è stato Montag ad affidargliela non posso che condividere la sua fiducia” quindi sorridendo all’umano “sei pieno di sorprese! E inoltre sembra che maneggi con destrezza questa spada, eh, armi come questa nelle mani giuste possono essere tra le più letali!” gli diede quindi una pacca sulla spalla esortandolo a continuare gli esercizi, poi sgridò i suoi compagni e li trascinò verso i Dompan; avevano da prepararsi per una battaglia non c’era tempo da perdere! Pochi istanti dopo che gli orchi avevano sgombrato la zona Mood uscì dalla grotta assieme a tutti gli Jatzkur che la sera prima si trovavano dietro il separé di pelle. L’orco a capo dei lucertoloni si avvicinò sorridente a Shapur “Ora vedremo quale Jatzkur sarà disposto a essere cavalcato da te!” “Ah! E così dovrebbe essere il cavallo a scegliere il suo guidatore, assurdo!” rimbeccò il cavaliere che però non si oppose con più convinzione, in fondo queste bestie ai suoi occhi parevano tutte uguali. Gli Jatzkur si avvicinarono un poco verso l’umano alzando la testa per annusare l’aria che lo circondava, per alcuni istanti le creature rimasero ferme nella loro posizione dopo di che uno di loro si fece più vicino a Shapur mentre gli altri se ne allontanarono. “Bravo Snub! Così sarai te ad accompagnare il nostro amico cavaliere!” lo Jatzkur rispose aprendo e chiudendo più volte le fauci. “non ti preoccupare” continuò Mood, rivolto a Shapur questa volta “è un ottimo animale, non ti deluderà di certo!”.
Il disco solare era ormai comparso completamente al di sopra delle cime e tutti i Czarny Skal erano pronti per la partenza. Gli orchi indossavano le armature e portavano con se asce, archi e balestre; alcuni Dompan erano stati coperti con armature alle quali erano agganciate le più strane macchine da assedio che Shapur avesse mai visto, altri avevano legati dietro di se macchine ancora più strane che assomigliavano alle balliste e alle catapulte usate dagli uomini. Kashlek e Snub, i due Jatzkur, erano stati bardati con delle morbide selle alle quali erano stati legati diversi sacchi di pelle contenenti tutto il necessario per la sopravvivenza. Era giunto il momento delle partenze Mood e Kill’rog si strinsero calorosamente la mano, gesto che sfociò in un abbraccio. “Vedrai, presto la bandiera di Czarny Skal sventolerà dal pennone più alto della fortezza di Silfin” Esclamò il capo clan dando una pacca sulla spalla del suo compagno “Ci puoi scommettere!” rispose Mood con una sicurezza che dentro di se non sentiva. Era giunta l’ora di partire e Sahpur e Mood saltarono in groppa agli Jatzkur distribuendo gli ultimi saluti agli orchi, in pochi minuti i lucertoloni avevano già guadagnato la cresta della prima montagna, qui l’orco s’arrestò un istante, si voltò per guardare i suoi compagni camminare lungo il fondo valle verso sud e borbotto una tipica espressione orchesca che potrebbe essere tradotta come “in bocca al lupo, ragazzi!”. A cavallo degli Jatzkur la strada percorsa il giorno precedente pareva essere una passeggiata, i lucertoloni procedevano silenziosi e rapidi attraverso le foreste lungo i fianchi delle montagne. La sella morbida rendeva il viaggio molto confortevole, inoltre quelle strane creature non facevano mai sobbalzare il proprio cavaliere, nemmeno quando procedevano velocemente. Shapur non poteva che apprezzare tutto questo, anche se si sarebbe sentito più a suo agio in groppa ad un cavallo, i rettili li aveva da sempre considerati come pericolosi e non come animali da cavalcare!
Non ci fu nessun intoppo durante il viaggio, probabilmente perché i lucertoloni ogni qualvolta percepivano un pericolo prendevano una strada che lo aggirasse, era pressoché impossibile cogliere di sorpresa uno di quegli animali, i loro acutissimi sensi potevano avvertire un pericolo prima che questo potesse anche solo immaginare di minacciarli. Così si poterono anche concedere una tranquilla pausa per il pranzo; in fondo avrebbero dovuto raggiungere la fortezza di Silfin contemporaneamente all’esercito di Czarny Skal affinché il piano funzionasse. Correre verso la meta non avrebbe avuto alcun senso. Il Sole stava già calando quando raggiunsero la grotta del portale che li aveva condotti in quella terra. E lì Mood decise di fermarsi per la notte. “Ma come?!” sbottò sorpreso Shapur “perché ci fermiamo per la notte? Non eri forse tu a dire che non ci si poteva riposare di notte nella terra degli orchi!?” Mood in fondo capiva l’obiezione del cavaliere e rispose pacatamente “Vedi, l’altra notte eravamo nel bel mezzo della foresta, e lì sarebbe stato veramente rischioso fermarsi; ma qui questa grotta costituisce un riparo, ed è anche un luogo intriso di magia, sai come me cosa cela al suo interno; è improbabile che qualcuno o qualcosa si avvicini, inoltre”
Aggiunse accarezzando il testone del suo lucertolone “anche se fosse non potrebbe farlo senza attirare l’attenzione di Kashlek e Snub!”. L’umano non sembrava troppo convinto delle argomentazioni di Mood, ma alla fine cedette al sonno, in fondo la notte precedente s’era coricato a notte fonde e si era alzato alle prime luci dell’alba. Si addormentò quindi ma stringendo saldamente la sua spada.
Le prime luci dell’alba rivelarono che le ipotesi dell’orco esano esatte, nulla aveva turbato il loro sonno. Così ben riposati ripresero la marcia di buon’ora col passo spedito degli Jatzkur.
Mentre si avvicinavano alla pianura dove scorreva il fiume Jasnor i due animali parevano agitarsi sempre di più. Non era il terrore per un qualche pericolo, che avrebbero potuto tranquillamente aggirare, era come una curiosità ansiosa che li attirava verso un punto lungo il fiume facendogli accelerare l’andatura. Quando furono sul pendio dell’ultima montagna anche Shapur e Mood poterono notare qualcosa di strano lungo la riva ovest del fiume; era come una macchiolina nera che spiccava tra il verde della prateria. Le due bestie si lanciarono di corsa, e quando uno Jatzkur corre anche solo tenersi aggrappati alla sella diventa un impresa. Shapur pareva agitato nel vedere sfrecciare la terra sotto di se a meno di un metro di distanza e si era attaccato il più saldamente possibile al corpo dell’animale avvolgendolo sia con le braccia che con le gambe. Mood era invece più abituato alla velocità degli Jatzkur e, pur stringendo la presa sulla sella, teneva il capo levato per osservare ciò che aveva tanto agitato il suo animale. Arrivati i due lucertoloni si arrestarono di colpo ed iniziarono ad emettere dei sordi mugugni che suonavano come uno straziante lamento. Quello che da lontano appariva come un puntino nero era un grosso mucchio di ceneri nel quale si potevano vedere ancora delle ossa sporgere pressoché intatte. Mood si mise a frugare tra quei resti. S’arrestò di colpo, si voltò verso il suo compagno, in mano reggeva un teschio di lucertola o meglio, di Jatzkur, “Non sono poi così imbattibili allora questi animali” disse Shapur con voce mesta “Già” ribatté l’orco “non hanno alcuna difesa quando i loro padroni li tradiscono” sull’ultima parola, detta più con rabbia che con tristezza, Mood estrasse dal teschio una punta di freccia, inconfondibilmente costruita da mani orchesche. “Gli orchi di Silfin hanno veramente superato ogni limite, uccidere delle creature innocue come gli Jatzkur è una barbarie senza senso”. L’umano si avvicinò alle ceneri, ne prese un poco in mano e le fece passare tra le dita. “Il rogo deve essere stato fatto alcuni giorni fa” sentenziò dopo la sua breve analisi, quindi si avvicinò all’orco, gli posò una mano sulla spalla e aggiunse “Temo sia inutile stare qua ancora, abbiamo una missione da portare a termine; e se lo facciamo e perché cose di questo genere non accadono mai più!”. Mood sapeva che l’uomo aveva ragione, il dispiacere doveva essere superato in fretta, in fondo anche lui aveva visto la sua gente sterminata, ma ciò non gli aveva impedito di riprendere il cammino, anzi, doveva essere un motivo in più per proseguire. Non si fermarono oltre, anche gli Jatzkur parevano aver capito le intenzioni dei loro padroni. Appena questi salirono in groppa i lucertoloni si diressero spediti verso le montagne a ovest di Borgo Necro. Da lì Mood a Shapur avrebbero attraversato il deserto per entrare nella fortezza dal lato est, mentre l’esercito di Czarny Skal avrebbe attaccato da Nord impegnando così le guardie del castello. Questo era il piano ideato da Montag, e questo sarebbe stato ciò che loro avrebbero fatto.
La pianura erbosa cedette il posto alle montagne coperte da foreste di maestose conifere, le cavalcature procedevano sicure tra gli alti tronchi nella penombra della foresta. La sera del secondo giorno stava già calando e le ombre dei grossi alberi cominciavano ad allungarsi su tutto il terreno sottostante. D’un tratto, senza che nemmeno Mood, che pure conosceva bene questi animali, ne comprendesse la ragione, i due Jatzkur si fermarono ed iniziarono ad emettere dei profondi ruggiti. Si trovavano in una conca circondata da montagne che facevano riecheggiare il verso dei due animali. Il cavaliere cercava risposte nel suo compagno orco ma nemmeno questi poteva immaginare che cosa stesse accadendo. Quello che seguì fu uno spettacolo che solo Mood e Shapur poterono vedere e del quale non si parla in nessun altro scritto. Da lontano altri versi di jatzkur si propagavano nella conca, i due lucertoloni appena sentirono questa risposta invitarono, con rapidi movimenti del capo, i loro padroni a scendere, per riprendere a emettere i loro strani versi non appena questi smontarono di groppa. Seduti ai piedi di un albero i due osservavano lo strano comportamento dei loro animali; Shapur domandò a bassa voce, come per non disturbare un importante rito, che cosa stessero facendo; ma Mood dovette ammettere di non aver mai visto niente di simile. Per diversi minuti i due Jatzkur continuarono a emetter i loro versi e ad ascoltare le risposta che provenivano da lontano. Poi, improvvisamente, dalle ombre della foresta comparvero una decina di lucertoloni, che si avvicinarono ai due strofinando il muso contro il loro. Questo strano comportamento continuava, lentamente arrivarono altri appartenenti alla specie per strofinare il loro muso con quello di chi era arrivato prima. Il numero di Jatzkur continuava ad aumentare finché Mood non poté più quantificarlo. Fu allora che apparve qualcosa di inatteso, tra le ormai centinaia di animali l’orco poté vederne uno che si distingueva da tutti. Era uno Jatzkur, di questo ne era certo, ma le sue squame erano di un bianco candido, che quasi brillava nel buio della notte. Shapur non poteva capire la sorpresa del suo compagno, d’altronde lui non era un orco, non conosceva le leggende di questo popolo; ma Mood le conosceva, e si ricordava ancora bene quando da bambino gli raccontavano la storia dello Jatzkur bianco, ma finora aveva sempre creduto che fosse un’invenzione uno delle tanti bestie di fantasia che avevano un solo valore simbolico nella storia. E invece ora era lì davanti a lui, splendidamente bianco, stava andando al centro del gruppo di lucertole e quando raggiunse la posizione tutti i versi tacquero e tutti gli sguardi si rivolsero verso di lui, inclusi quelli di Mood e di Shapur. “Deve essere il loro capo” borbottò il cavaliere verso l’orco che troppo preso dall’evento non gli diede ascolto. Il Bianco jatzkur aprì diverse volte la bocca, senza emettere alcun suono, o almeno alcun suono che fosse percepibile dall’orco e dall’umano. Per una mezz’ora questi strani animali, sempre guardando quello bianco aprivano la bocca uno per volta, sempre senza emettere suoni udibili. “e come se facessero una riunione” commento il cavaliere verso il suo compagno che per una seconda volta non rispose. Quindi il bianco tornò verso il fitto della foresta, seguito da più della metà dei lucertoloni, mentre la restante parte si fece attorno ai due avventurieri. Shapur non sapeva se essere preoccupato o no e continuava a borbottare “n-non siamo stati noi a fare quella strage..”. Kashlek tirò per il braccio il suo padrone per farlo alzare quindi indicò col capo prima l’orco e l’uomo, poi i suoi compagni e in fine il deserto dove si trovava la fortezza di Silfin. L’orco aveva capito il messaggio i lucertoloni si erano offerti di portarli attraverso il deserto alla fortezza, un gesto molto coraggioso per quelle bestie e che equivaleva a scendere in battaglia per un umano o un orco. Shapur sinceramente non aveva neppure capito che avrebbero dovuto attraversare il deserto a piedi e quando Mood gli riferì e intenzioni degli animali non ne capì il significato profondo, ma comunque ringraziò quelle bestie gentili.
“Domattina prima dell’alba partiremo verso il castello, il clan dovrebbe essere pronto per l’attacco alle prime luci dell’alba, vedrai che con l’aiuto degli Jatzkur passeremo certamente inosservati” Mood appariva molto sicuro di sé mentre ripeteva le istruzioni ricevute per il giorno dopo. Nella serata il cavaliere riuscì a stupire l’orco con un’idea geniale; aveva pensato al modo di modificare le selle in modo che loro si trovassero sotto la pancia delle fidate bestie. Mood approvò in pieno l’idea e così prima di coricarsi si diedero da fare con coltelli e lacci di cuoio finché non ottennero un risultato accettabile.


Il gran finale

La luce del Sole non era ancora penetrata nella foresta quando i nostri si misero in marcia; attraversarono le montagne cavalcando sul dorso nudo degli animali, stare sotto la pancia con la sabbia del deserto era un conto, ma nel bosco, con rocce e radici che sporgevano dal terreno, era tutto un altro affare.
Mentre Mood e Shapur correvano verso la fortezza, il suono dei tamburi da guerra dei Czarny skal aveva già superato la valle di Dust’hol; l’effetto sorpresa era assolutamente inutile, che Silfin vedesse bene in faccia il suo avversario; tanto con le truppe impegnate ad assediare Artaxata non avrebbe potuto chiedere rinforzi per difendere il castello. L’esercito avanzava implacabile tra le sabbie del castello, Kill’rog in sella ad un mastodontico Dompan gridava incitazioni ai suoi compagni sottolineando le parole col suono di due grossi tamburi posti ai lati dell’animale. La fortezza vera e propria era circondata da una serie di torri disposte a cerchio attorno ad essa, era lo stratagemma ideato dal mago per riuscire a fuggire dal castello. Difatti contava sul fatto che, se un nemico fosse riuscito ad oltrepassare la barriera costituita dalle torri, lui sarebbe riuscito a fuggire prima che questi arrivasse al castello. Le torri inoltre erano in costante contatto tra loro e con la fortezza per cui in caso di assalto sarebbe stato facile concentrare le difese nella torre sotto attacco. Kill’rog fece fermare il suo esercito ad una distanza di sicurezza dalla torre di guardia; sarebbe stato assurdo mandare all’attacco i fanti contro una struttura ancora in piedi, perciò ordino a catapulte e balliste di far fuoco a volontà contro il bersaglio. Dardi infuocati e palle di fuoco (Quel poco di magia che Kill’rog conosceva tornava spesso utile) si schiantarono contro la torre, che resse a questo primo attacco. “Che brucino tutti gli occupanti della torre!” pensava Kill’rog mentre ordinava un secondo lancio di proiettili infuocati. Ma ora accadde qualcosa che nemmeno il capo clan aveva previsto; un boato scosse l’atmosfera e dalla torre partì una grossa pietra sferica ad altissima velocità che colpì in pieno una balestra degli assedianti mandandola in frantumi. Kill’rog non si capacitava come in uno spazio così ridotto potesse trovare posto uno strumento capace di scagliare rocce con quella velocità e a quella distanza. Il capo clan comunque non si perdette d’animo quella battaglia doveva essere vinta e ordinò un altro lancio dalle catapulte e balliste, un altro colpo dalla torre distrusse un’altra macchina dei Czarny Skal; di questo passo si sarebbe andati incontro ad una disfatta totale, ma ordinare l’assalto, unica altra ipotesi, sarebbe stata una follia. La situazione era di stallo e i suoi uomini inoperosi stavano perdendo fiducia. Altri due colpi dalla torre distrussero altrettante mezzi d’assedio. La situazione era disperata, non era tanto perdere le macchine da guerra che lo preoccupava, ma quello che sarebbe successo quando le avrebbero distrutte tutte, e non mancava molto dato che gli erano rimaste due balliste e due catapulte, e gli assediati della torre parevano avere una mira infallibile. Se fossero stati fermi sarebbero stati spazzati via da quella macchina infernale. Attese che un altro colpo venisse scagliato dalla torre per lanciare i suoi all’attacco prima che potessero ricaricare e fare fuoco nuovamente. Il colpo venne lanciato con conseguente perdita di una catapulta e immediatamente ordinò la carica. Le urla degli orchi si lavarono alte in cielo; i Dompan in corsa facevano tremare il terreno, la tensione era al massimo; si trovavano a metà strada verso la meta quando un altro boato riempì l’aria. Kill’rog non fece a tempo a pensare che era impossibile che avessero già lanciato un nuovo colpo, che vide una immensa ombra oscurare il Sole. “Un drago!?” Kill’rog arrestò la sua corsa verso la torre, fermandosi col naso all’in su ad ammirare la creatura volteggiare nell’aria. Lo guardava con attenzione, l’animale portava una grossa pietra in mano, mentre il capo clan si chiedeva perché fosse apparso quell’animale udì una voce inconfondibile alle sue orecchie.
“YIIIHAAAAAAAAAAAAAAA!!! ARRIVA LA CAVALLERIA!!”. L’orco stentava a crederci sulla groppa del bestione doveva esserci il mago; sì, a guardare bene lo si poteva vedere alzare il suo bastone in aria. Tutti gli orchi che si erano lanciati con foga alla carica ora stavano fermi a osservare quella fantastica creatura, che, a quanto sembra attirò anche l’attenzione degli occupanti della torre. Infatti il colpo successivo venne sparato verso il cielo, ma al drago bastarono un paio di battiti d’ali per sollevarsi a sufficienza per evitare il colpo che cadde a terra sollevando una nuvola di sabbia.. La creatura emise quindi un sonoro verso intermittente (mai sentita la risata di un drago?). L’animale si arrestò quindi a mezz’aria, fuori dalla portata del cannone, s’inarco su se stesso, e quindi si distese scagliando la grossa pietra che aveva portato contro la torre. Gli orchi fuggirono terrorizzati da luogo dell’impatto; il macigno sbriciolò letteralmente la parte superiore della costruzione scavando poi un profondo cratere nella sabbia. I difensori ora erano allo scoperto; Kill’rog non esitò oltre e ordinò l’attacco, finalmente era giunto il momento di usare le asce e avrebbero potuto affrontare i nemici a viso aperto.

Mentre tutto ciò accadeva alla torre a Nord, un piccolo branco di Jatzkur si era avvicinato alla fortezza, ma chi mai avrebbe fatto caso a quelle innocue bestie, e soprattutto con un assedio in atto! Anche due figure che entrarono furtive dal lato sud della fortezza non furono notate. Con corde e rampini scalarono le mura e si ritrovarono sulla sommità della fortezza. Le poche guardie agitate e confuse, fossero esse umane o orchesche, correvano senza una meta precisa; non era difficile sfuggire ai loro occhi accecati dall’ansia. Così per attraversare i corridoi del castello non vi fu alcun problema e si dovette versare molto meno sangue di quanto si potesse prevedere. Né Mood né Shapur conoscevano gli interni del palazzo, eppure era come se entrambi sentissero dentro di sé esattamente dove si trovava il mago.
In fine lo videro; era in una piccola sala, nei piani bassi del castello, seduto su un tappeto rosso, con gli occhi chiusi. Veniva quasi da dubitare che lui fosse l’artefice di tanto male. La stanza era piena di strani oggetti come se fosse il laboratorio di un mago qualsiasi. “Artaxata è già caduta troppo tardi!” la voce si diffondeva nella stanza che il mago muovesse bocca “D’altronde senza i suoi eroi a difenderla, come poteva resistere all’assedio” come una pugnalata le parole travolsero Shapur, lui era là, lontano dalle sue genti; le aveva abbandonate per un’assurda crociata “come ci si può fidare di queste bestie sanguinarie che chiamiamo orchi, loro vogliono guerre e sangue, distruzione, morte… la razza umana è finita; tu l’hai abbandonata” Le parole rimbombavano fragorose nella testa del cavaliere; “no, sono nel giusto… “ continuava a ripetersi mentre il gelo della lama della sua spada stava salendo per il braccio. Mood non poteva attendere oltre; questo era il momento; sulla lama della sua ascia brillavano dei simboli rossi, e i suoi stessi occhi parevano infiammati. Si lanciò con foga contro il mago, un colpo che gli avrebbe reciso la testa di netto, ma questo si alzò con una velocità spiazzante e il colpo fini sulla gamba. Non uscirono fiotti di sangue semplicemente il mago cadde a terra urlando dal dolore senza più il suo arto inferiore. Mood aveva sbagliato il primo colpo ma il secondo non l’avrebbe mancato; lo sguardo iniettato di sangue non provava nessuna pietà per quello che ora pareva essere solo un uomo; un uomo come tanti, soltanto un uomo. Aveva levato l’ascia in aria con un ruggito di rabbia si preparava a colpire, ma in quell’istante qualcosa lo colpiva alle spalle, l’urlo di rabbia si mischiò al dolore. Cadeva a terra, era come se il tempo si fosse rallentato, cadeva pensava a quanto tutto questo fosse assurdo; vedeva il cavaliere brandire la sua spada, insanguinata, “col mio sangue” pensò l’orco, poi vide il cavaliere farla cadere a terra e raccogliere l’ascia, l’ascia che Montag gli aveva donato. Quindi chiuse gli occhi, era finita.

Shapur reggeva l’ascia del suo compagno in mano, lo aveva ferito senza capire come fosse potuto accadere. Osservava i segni sull’ascia che brillavano ancora intensamente, come quando Mood l’aveva usata, o forse ancora con maggiore intensità. D’improvviso un frastuono porte sfondate, urla di dolore si voltò per vedere cosa stesse succedendo, e vide Kill’rog era alla porta, dalla sua bocca scendevano rivoli di sangue, i suoi occhi erano accesi come tizzoni. Sì, quei simboli brillavano con una maggiore intensità, era una luce quasi accecante ora. Shapur avrebbe voluto dire qualcosa, ma l’ascia dell’orco fu più veloce delle sue parole; per dieci volte colpì il cavaliere prima che la cieca rabbia scemasse. Quando oramai del corpo non era rimasto che qualche brandello di carne.

Le urla continuavano e altri orchi arrivavano in quella sala; parevano stupiti di essere lì e guardavano Mood, l’orco strano, disteso a terra. Arrivò Montag, il piccolo mago si fece strada tra i grossi corpi degli orchi. Vide quindi Mood, gli si accostò e sollevò il suo capo. Aperse gli occhi. “M-Montag p-perché?” Il mago piangeva, non aveva risposte per l’orco, lui che lo conosceva da quando era un bambino, lui che l’aveva cresciuto, ora doveva tenerlo tra le braccia in fin di vita, due grosse lacrime gli rigavano le guance. Il mago diceva delle formule magiche nelle tentativo di curare il suo allievo ma oramai era troppo tardi. “Se mi spengo” gli incantesimi avevano avuto un limitato effetto e Mood riusciva ancora a parlare “Almeno so che una nuova vita si accende lontano” lo sguardo si perdeva nel vuoto e la mano si mosse astringere il vestito del mago, questo in mezzo alle lacrime dipinse un sorriso sul volto “Non ti preoccupare ora loro sono al sicuro!”. Anche Mood sorrise, il dolore e la sofferenza erano lontani, il mago questa volta aveva ragione, e non perché fosse solo una sua parola, ma perché sentiva dentro di sé che era così. Quindi volse lo sguardo al cielo ed emise il suo ultimo respiro.
Montag si alzò, sulla faccia aveva ancora i segni delle lacrime, ma il suo tono ora era serio “Silfin è stato sconfitto”, effettivamente nessuno sapeva che fine avesse fatto quel mago, probabilmente era fuggito; ma come e dove con una gamba sola? Il mago con un lento gesto passò il suo bastone sopra il tappeto, solo ora gli orchi si accorsero che il colore del tappeto si muoveva, come fossero onde di un mare. Dopo un paio di passaggi il movimento si arrestò e il tappeto divenne di un rosso uniforme. “senza questo potere quell’uomo non è più una minaccia” disse con la voce rassegnata di chi deve svolgere un lavoro ingrato. Quindi prese il mantello di Mood, era un bel mantello; ricavato da una pelliccia di lupo, e vi avvolse l’ascia, che giaceva per terra senza emanare alcun bagliore. Porse quindi il pacco a Kill’rog “Affido a te quest’arma che d’ora in avanti sarà al servizio del tuo clan; Czarny skal: sarà l’ascia di Czarny skal” il capo clan prese l’oggetto senza dire parola. “A voi spetterà un difficile compito” proseguì il mago “Dovrete impedire a chiunque di giungere a questo luogo; perciò dovrete spostare il vostro villaggio nella conca di Dust’hol, al limite del deserto”. Kill’rog non capiva bene il motivo di questi ordini ma di certo dal tono risoluto del mago doveva esserci perciò non obbiettò, meno di tutti voleva che Silfin, o chi per lui, tornasse al potere e se per evitarlo avrebbe dovuto spostare il villaggio non avrebbe esitato a farlo. Il mago si appoggiò stancamente al suo bastone “Per me è giunta l’ora di andare; ci sono persone lontane che dovranno sapere ciò che è successo, e a me spetta questo compito”. Uscirono dalla fortezza, nemmeno il brillante Sole sollevava gli animi di quei valorosi. Il drago si era accucciato in attesa del mago, questo fece qualche passo verso l’animale poi si voltò verso il capo clan “Tornerò! E ricorda alle tue cure sarà affidato uno dei tesori più preziosi di Mood”. L’orco era confuso, non capiva le parole del mago ora come non aveva capito le ultima parole del suo compagno caduto. Montag salì in groppa al suo insolito destriero che si levò in volo; si voltò e sul pennacchio più alto vide la bandiera di Czarny Skal; issata a mezz’asta.


Epilogo

Sconfitto Silfin, o quanto meno allontanato dalla sua fonte di potere l’esercito che guidava si sgretolò velocemente. Il Clan Czerwogien, che era stato fedele al mago solo per la forza superiore che questo riusciva a fornire alle truppe, fu il primo ad abbandonare le sue file; alcuni dicono che il mago li controllasse mentalmente e, che una volta finito l’incantesimo, fossero tornati alla libertà. Le nazioni umane che si erano alleate col mago, vista la mancanza del loro leader, iniziarono una lotta intestina per spartirsi i territori conquistati, abbandonando così ogni offensiva verso Artaxata e verso i regni del nord. Il clan Bialy rank avrebbe continuato la battaglia, ma dato che buona parte dell’esercito si era ritirata dovettero abbandonare i proposti di conquista ed ora vivono divisi in piccole comunità nelle foreste dove assaltano avventurieri e mercanti.
Artaxata non cadde mai, quella di Silfin era solo una menzogna, la città si riprese dopo il lungo assedio e tornò a essere quella di sempre; la ricca città che collega le terre meridionali a quelle del nord.
I czarny Skal si insediarono nel Dust’hol, dove tuttora vivono, e per diversi anni dovettero difendersi dagli attacchi delle bande di uomini che Silfin aveva portato con sé nella terra degli orchi, ma mai cedettero e la fortezza non ha più avuto padroni da allora; probabilmente, se si andasse laggiù si potrebbe ancora vedere sventolare la bandiera dei Czarny Skal; ancora a mezz’asta a memoria di chi si è sacrificato per la libertà.




Non dimenticherò mai quella giornata nel deserto all’ombra della torre, Kill’rog raccontava con ricchezza di particolari e coinvolgimento. Quello che ho scritto, come già avevo detto è solo ciò che mi ricordo di questa storia; che spero possa essere interessata anche a chi non appartiene al Czarny Skal.
 
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Kappa[Soul man]
view post Posted on 3/2/2004, 13:25




....
komplimenti!! mi e' piaciuto molto il tuo modo di skrivere!! ,D
 
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Zhulldzin
view post Posted on 3/2/2004, 16:20




grazie m'inchino ai complimenti!
 
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2 replies since 31/1/2004, 20:39   121 views
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